Settembre è il Mese Mondiale dell’Alzheimer.
Parliamone senza ansie o pregiudizi e impariamo a conoscere insieme cos’è la demenza attraverso gli articoli della neuropsicologa Rosanna Palmeri.
La demenza senile non esiste
In un’epoca sempre più attenta e sensibile all’utilizzo delle parole corrette e inclusive e alla buona informazione, diventa centrale adottare e promuovere un impiego appropriato del linguaggio anche quando si parla di disturbo neurocognitivo. Le parole che scegliamo di utilizzare hanno, infatti, un impatto considerevole non solo sulle persone che convivono con la demenza, ma anche su come la gente si approccia a essa, dal momento che si tratta di una condizione ancora fonte di stigmatizzazione ed esclusione. È proprio per questo, infatti, che occorre evitare l’utilizzo di termini inappropriati o desueti, uno tra tutti: demenza senile. Nonostante sia una definizione ancora in voga tra i social media e, tristemente, anche in alcuni studi medici non proprio aggiornati, “demenza senile” è un concetto che veniva utilizzato quando ancora si riteneva che la perdita delle funzioni cognitive fosse parte del normale processo di invecchiamento e non il risultato di specifiche patologie a carico del cervello, pertanto è ormai da ritenersi obsoleto e inappropriato. Parlare di demenza senile al giorno d’oggi, infatti, rischia di provocare:
Generalizzazione
Una generalizzazione eccessiva: proprio perché la demenza non è parte del normale invecchiamento, ma è causata da patologie specifiche, essa non è prerogativa esclusiva delle persone anziane (pur essendo, lo ricordiamo, maggiormente probabile con l’aumento dell’età). Approssimativamente, infatti, il 7% di tutte le persone che convivono con una demenza, ha meno di 65 anni; in questi casi si parla di demenza a esordio giovanile e non di demenza “pre-senile”, proprio per evitare di avallare la falsa credenza che sia una malattia dell’anzianità. D’altra parte, occorre ribadire che non tutti gli anziani sviluppano una demenza. Sebbene l’invecchiamento fisiologico possa comportare alcune alterazioni cognitive, queste non sono tali da compromettere le autonomie decisionali della persona; esiste, inoltre, una piccola parte di popolazione anziana che mantiene, anche in età avanzata, un funzionamento cognitivo paragonabile a quello di un cinquantenne: i cosiddetti superagers! Pare che queste persone siano “immuni” allo scorrere del tempo, vale a dire che il loro cervello non va morfologicamente incontro a nessun processo degenerativo; non è ancora chiaro quali siano le ragioni, verosimilmente si tratta di una fortunata combinazione di geni e ambiente, ma la loro esistenza ci conferma che il declino cognitivo non è un destino ineluttabile!
Stigmatizzazione
Stigmatizzazione e disinformazione: il termine senile assume qui un’accezione negativa che contribuisce all’ageismo nei confronti delle persone anziane, ossia una forma di pregiudizio e discriminazione basati sull’età, che vedono le persone anziane come meno capaci, meno attraenti e meno produttivi, con tutte le ricadute sociale e relazionali che questo comporta; spesso è anche l’anziano stesso a interiorizzare questo pregiudizio percependosi fragile, inutile e inadeguato e ritirandosi così dalla vita sociale, con l’unico risultato di contribuire attivamente al suo declino, come nelle migliori profezie autoavveranti[1].
Inoltre, in termini informativi e diagnostici, non ha nessun valore e non aiuta a comprendere il tipo di disturbo neurocognitivo e quindi i bisogni della persona che si ha di fronte. Tendenzialmente, appare dunque più appropriato prediligere termini specifici come “Malattia di Alzheimer”, “demenza vascolare”, “demenza a corpi di Lewy”, ecc. Questo non solo è più preciso dal punto di vista medico, ma anche più rispettoso verso le persone che ci convivono.
Perché è importante abbandonare “demenza senile”
Per concludere, ribadiamo ancora una volta quanto ricorrere a termini specifici e corretti migliori la comprensione, il trattamento e la gestione della demenza, riducendo lo stigma e promuovendo una comunicazione più efficace tra pazienti, famiglie e professionisti sanitari. Abbandonare il termine “demenza senile” è un passo importante verso una maggiore consapevolezza e un approccio più umano e scientifico alla cura delle persone che convivono con una demenza, proprio perché, come evidenziano le linee guida fornite da Alzheimer Italia, “le parole usate per parlare di demenza possono avere un impatto significativo su come le persone sono viste e trattate nella comunità”[2].
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[1] La profezia che si autoavvera si verifica quando crediamo fermamente che qualcosa di specifico accadrà e così cambiamo a tal punto il nostro comportamento da modificare la realtà fino a confermare l’ipotesi iniziale
[2] Fonte: https://www.alzheimer.it/linee_guida_linguaggio.pdf
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